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IMMUNI: L'APP DI TRACCIAMENTO ANTI-CORONAVIRUS

Aggiornamento: 25 apr 2020

Come funziona la nuova app.

Foresti, AD di Santagostino che insieme a Bending Spoons ha creato l'app prescelta dal Governo, illustrano al Corriere della Sera le caratteristiche del nuovo strumento informatico con l'intervista che di seguito si riporta.


«La app è anonima e non registra il numero di telefono degli utenti, può salvare i dati che raccoglie solo sui telefoni o anche su server; può prevedere più o meno sezioni, come quella per l’autocertificazione necessaria per gli spostarsi. Noi abbiamo messo a disposizione una sorta di menù di caratteristiche tecniche: sarà il governo però a scegliere quali adottare».

Luca Foresti è l’amministratore delegato del Centro medico Santagostino (rete di poliambulatori all’avanguardia nell’uso della telemedicina), che insieme a Bending Spoons, azienda leader nella produzione di app, alla società di marketing digitale Jakala, a quella di localizzazione GeoUniq e all’avvocato esperto di privacy Giuseppe Vaciago ha creato «Immuni», l’applicazione italiana per tracciare le persone positive a Covid-19, che dovrà aiutare nel contenimento dell’epidemia. È stata scelta dopo aver partecipato a un bando pubblico e ieri Bending Spoons ha firmato il contratto con cui concede gratuitamente il codice (cioè il software della app) allo Stato.


Come funziona la app? «Una volta scaricata sul cellulare, permette di sapere se nelle settimane precedenti si è entrati a contatto con una persona positiva al Covid-19 e quindi se si è a rischio contagio. Ha inoltre un diario clinico che monitora gli eventuali sintomi per l’individuazione precoce delle infezioni. Gli utenti possono comunicare in modo anonimo se hanno tosse, raffreddore, perdita dell’olfatto e simili. I dati così raccolti permettono di prevedere se ci sono delle zone in cui si sta diffondendo il contagio e di fare test mirati sulle comunità che hanno una maggiore probabilità di essere infette. Inoltre possono essere aggiornati in modo da rilevare se c’è un peggioramento delle condizioni di salute di ogni singolo individuo».


Che tipo di dati raccoglie: anche la posizione degli utenti? «Questo dovrà deciderlo il governo. La app è prevista per poter usare due strumenti: uno è il low energy bluetooth, che rileva le persone nelle vicinanze (se hanno a loro volta scaricato la app). È la componente fondamentale. Poi c’è anche il Gps, che invece permette di georeferenziare il telefono, cioè di vedere i suoi spostamenti nello spazio: il governo deve decidere se usare anche questo. Entrambi gli strumenti raccolgono dati in modo anonimo».


E questi dati dove finiscono? «Anche questo deve deciderlo il governo. Possono essere conservati solo sul telefono oppure su server che indicheranno le istituzioni».


Chi può vederli? «Di nuovo: è una decisione che tocca alla politica. Si possono far arrivare i dati ai medici, aiutati da un call center professionale che aiuti a fare il contact tracing come in Corea del Sud, cioè chiami le persone che devono mettersi in quarantena, o fare il test Covid-19. Oppure ai sindaci, che sono i responsabili della salute sul territorio. O alle Regioni, che controllano i fondi sanitari necessari per rispondere a eventuali situazioni critiche. Fino alle istituzioni centrali: la task force per la ripartenza guidata da Vittorio Colao, l’Istituto superiore di sanità, il Ministero della salute o la Protezione civile. I soggetti possibili sono molti, ma non sta a noi sceglierli».


Come possono essere usati? «L’obiettivo deve essere tenere basso il tasso di trasmissione del virus. La app è un tassello importante ma da sola non basta. Ne servono altri due: i test estensivi (sia i tamponi che quelli per gli anticorpi) e la gestione territoriale sanitaria, medici di base e altri operatori sanitari che prendano in carico le persone senza ospedalizzarle. Gli ospedali e la terapia intensiva devono essere l’ultima ratio: bisogna fare di tutto perché i malati non abbiano mai bisogno di andarci».


Perché la app funzioni devono scaricarla tutti? «Più persone la usano, più è efficace. Va considerato anche che il 20% degli italiani — per lo più anziani — non ha uno smartphone, ma cellulari di vecchia generazione, e quindi non può scaricarla, e che ci sono alcune persone senza cellulare. Neppure i bambini lo hanno».


Quando sarà disponibile? Ci saranno delle prove di funzionamento in zone specifiche? «Tecnicamente è pronta, sui tempi e su eventuali test deciderà il governo».


Molte persone temono che una app del genere metta a repentaglio la privacy o abusi dei loro dati. «Oggi decidiamo continuamente di dare i nostri dati ad aziende private che ci danno servizi e ci inviano pubblicità: Apple, Google, Amazon, Microsoft li impiegano per creare valore per se stesse. Qui siamo in mezzo a un’epidemia che sta uccidendo 500-600 persone al giorno e minacciando la salute di tutti. Chiunque può valutare il rischio per la privacy a fronte di quello per la salute, considerando che la app non chiede nome, cognome né numero di telefono e ha una tecnologia pensata con gli esperti di tutela dati per evitare abusi».


 
 
 

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