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LA RIABILITAZIONE PENALE

Aggiornamento: 8 mag 2020

Fondamenti dell’istituto, presupposti, gli effetti, il procedimento

Può accadere nella vita di un individuo che in conseguenza di una condanna per piccoli reati, anche soltanto colposi, come ad esempio un incidente stradale con lesioni ad altri soggetti, danneggiamenti involontari a cose o animali, contravvenzioni per fatti di poco conto ovvero per comportamenti volontari ancorché bagatellari, il soggetto in questione si ritrovi il reato iscritto nel casellario giudiziale, da cui si estrae il certificato penale, meglio conosciuto come “fedina penale”.

Gli effetti dell’iscrizione di un reato, seppur lieve, nel casellario giudiziale, può comportare grave pregiudizio per il soggetto iscritto.

Infatti, detto certificato è richiesto dalla Pubblica Amministrazione per riscontrare eventuali ragioni di incompatibilità del soggetto con cariche elettive o con la partecipazione a concorsi pubblici, come anche può essere richiesto da un potenziale datore di lavoro.

Il rimedio ad una siffatta situazione pregiudizievole è rinvenibile nell’istituto della riabilitazione previsto dagli articoli 178 e seguenti del codice penale.


Il fondamento dell’istituto della riabilitazione

La riabilitazione consente al riabilitato di riacquistare le facoltà giuridiche perse con la condanna.

Pertanto, il richiamo all’art. 27, terzo comma, della Costituzione viene subita in rilievo: “Le pene […] devono tendere alla rieducazione del condannato”, di guisa che l'istituto in esame risponde chiaramente alla funzione di agevolare il reinserimento del soggetto nella società.

In sostanza, l’istituto si incentra sul requisito della “buona condotta” tenuto dal condannato, comunque trascorso un determinato periodo di tempo dopo aver interamente espiato la pena, ciò che possiede una funzione premiale in linea con la rieducazione del condannato medesimo ed il suo recupero sociale.

I presupposti per ottenere la riabilitazione

L’articolo 179 del codice penale stabilisce quali sono i presupposti per l’ottenimento della riabilitazione.

Nello specifico, è necessario che siano decorsi almeno tre anni dal giorno in cui la pena è stata interamente espiata e che il condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta dopo la commissione del reato o dei reati.

Il termine di tre anni è aumentato ad otto anni se vi è stata la dichiarazione di recidiva del condannato così come configurata dall’art. 99 c.p. ed a dieci anni se si è in presenza di delinquenti abituali (artt. 102, 103 c.p.), professionali (art, 105 c.p.) o per tendenza (qrt, 108 c.p.) e decorre dal giorno in cui è stato revocato (art. 678 c.p.p.) l’ordine di assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro (art. 216 c.p.).


Il termine per ottenere la riabilitazione decorre dal giorno in cui la pena principale sia stata eseguita o si sia estinta in altro modo.

Il predetto termine invece è fissato in un anno dal verificarsi delle condizioni previste dall’articolo 163 del codice penale se la pena comminata non è superiore ad un anno e la stessa è stata sospesa e prima della pronuncia della sentenza di primo grado è stato riparato integralmente il danno mediante il risarcimento di esso ovvero, quando sia possibile, mediante le restituzioni, nonché qualora il condannato, entro lo stesso termine e fuori del caso previsto nel caso di delitto impedito, si è adoperato spontaneamente ed efficacemente per eliminare o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato da lui eliminabili.


Al contrario, la riabilitazione non può essere concessa se il condannato:

– è stato sottoposto a misura di sicurezza, tranne che si tratti di espulsione dello straniero dallo stato ovvero di confisca, e il provvedimento non sia stato revocato

– non ha adempiuto le obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che dimostri di trovarsi nell’impossibilita di adempierle.

La riabilitazione è concessa per tutte le condanne riportate ancorché il richiedente indichi solo alcune di esse; è comunque consentita la riabilitazione parziale.


Per converso, la riabilitazione è revocata se il riabilitato commette entro sette anni dalla riabilitazione un delitto non colposo per il quale è inflitta la pena della reclusione per un tempo non inferiore a due anni o un’altra pena più grave.

Tale regola vale anche in caso di sentenze straniere riconosciute in Italia ai sensi dell’art. 12 c.p.


Quanto al requisito della tenuta della buona condotta successivamente alla commissione del reato, l’onere della prova ricade sul richiedente e consiste in fatti positivi e costanti di ravvedimenti, tenuti posteriormente alla condanna oggetto dell'istanza di riabilitazione; non si richiede invece che il condannato compia atti positivi di valore morale rappresentativi di redenzione. Infatti, è sufficiente che egli dimostri di aver tenuto un comportamento integro e non censurabile, privo di qualsiasi atteggiamento trasgressivo e di aver intrapreso uno stile di vita rispettoso dei principi fondamentali dalla convivenza civile.

La Suprema Corte di Cassazione (sent. Cass. Pen, n. 196/2002) sul punto ha affermato che non è sufficiente la mera astensione dal compimento di fatti costituenti reato, ma deve essere instaurato e mantenuto uno stile di vita improntato all’osservanza delle norme di comportamento comunemente osservate dai consociati e poste alla base di ogni proficua e ordinata convivenza sociale, anche laddove le medesime non abbiano rilevanza penale e non siano quindi penalmente sanzionate, con ciò rilevando ogni aspetto della condotta del condannato.


Inoltre, il richiedente deve dimostrare di aver risarcito il danno cagionato alla parte offesa mediante dichiarazione della stessa ovvero dovrà provarne l’avvenuto pagamento o esibizione dell’avvenuta offerta reale da parte dell’Ufficiale Giudiziario o, ancora, l’avvenuto risarcimento deve essere stato accertato dal giudice di merito con la sentenza stessa. Infine, deve inoltre risultare adempiuto l’eventuale obbligo civile derivante dal reato.

Tuttavia, a causa delle sue condizioni economiche, il richiedente può addurre, dimostrandola, l’impossibilità, anche parziale, di risarcire il danno o di adempiere l’obbligo civile derivante dal reato.


Gli effetti della riabilitazione

Recita l’articolo 178 codice penale: “La riabilitazione [c.p.p. 683] estingue le pene accessorie [19] ed ogni altro effetto penale della condanna [106, 109, 556], salvo che la legge disponga altrimenti [164].".

In buona sostanza, la riabilitazione, pur non eliminando la pena, peraltro già estinta, elimina però le conseguenze penali della stessa e fa riacquistare al reo la capacità giuridica persa in seguito alla condanna.

L’istituto della riabilitazione non ha efficacia retroattiva e, dunque, opera solo per il futuro; questo implica che la condanna, ad esempio, che perde ogni rilevanza ai fini della recidiva (fuorché nel caso di una successiva revoca ex art. 180) e della dichiarazione di abitualità e professionalità del reo.

Il procedimento per la riabilitazione

La domanda di riabilitazione (art. 683 c.p.p.) si propone in carta semplice ed è sottoscritta dal diretto interessato o dal suo difensore munito di mandato, al Tribunale di Sorveglianza del luogo di residenza o domicilio dell’istante.

Se l’istante risiede all’estero la competenza appartiene in via alternativa al Tribunale di Sorveglianza del luogo dell’ultima residenza ovvero del luogo di condanna.

Se, invece, si tratta di istanza di riabilitazione da misura di prevenzione, la competenza appartiene alla Corte d’Appello nel cui distretto ha sede l’autorità giudiziaria che dispose l’applicazione della misura di prevenzione o dell’ultima misura di prevenzione.

Sebbene l’art. 683 del codice di procedura penale autorizzi l’interessato a proporre la domanda anche senza l’assistenza di un difensore, tuttavia all’udienza che verrà fissata dal Tribunale di Sorveglianza nel caso in cui la domanda non risulti manifestamente infondata o inammissibile sarà necessaria la difesa tecnica da parte di un avvocato iscritto all'Ordine professionale.

A memoria del terzo comma dell’art. 683 del Codice di Procedura Penale se la richiesta viene respinta per difetto del requisito della buona condotta, essa non può essere riproposta prima che siano decorsi due anni dal giorno in cui e divenuto irrevocabile il provvedimento di rigetto.


 
 
 

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