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LA RICHIESTA DEL PREMIER CONTE ALLE BANCHE DI FARE "UN ATTO D'AMORE"

Dichiarazione sorprendente proveniente dal Premier, Avvocato e Professore di diritto.

Tutti sicuramente conoscono il passaggio del Premier italiano, Giuseppe Conte, dove invita le banche a fare un atto d'amore al riguardo della concessione dei finanziamenti alle imprese ed ai commercianti, artigiani e professionisti.

Ebbene, considerata l'autorevole fonte statuale dalla quale proviene la supplica, è bene verificare se essa può trovare ragionevole accoglimento allo stato delle cose.


Si rende allora necessario avere ben chiaro che i prestiti per l'emergenza covid-19 che le banche andranno ad erogare sulla scorta delle previsioni del Decreto Legge 8 aprile 2020, n. 23 non provengono da denaro che lo Stato ha messo a disposizione, bensì il Governo si è solo reso garante dell'esatto adempimento delle obbligazioni che i soggetti finanziati andranno ad assumere con gli istituti di credito. Dunque, a tutti gli effetti, saranno le banche ad erogare i prestiti con denaro proveniente dalla loro raccolta, sebbene questi impieghi saranno garantiti dallo Stato.

In sostanza, le banche nella predetta operazione non saranno semplici intermediari, ma costituiranno gli enti mutuanti.


Ciò premesso, è necessario esaminare il quadro normativo che disciplina la concessione del credito da parte delle banche.

Il riferimento è ai principi sanciti all’interno del d.lgs. n. 385/1993 posti a tutela del risparmio ex art. 47 Cost. e a tutela della concorrenza ex art. 41 Cost.

L'attività bancaria è considerata di interesse pubblico siccome è l'unica autorizzata a sollecitare il pubblico risparmio e ad impiegarne il ricavato nell'esercizio del credito; per questo motivo, le banche sono sottoposte alla vigilanza della Banca D'Italia.

Ne consegue che la banca, avendo a propria disposizione mezzi di informazione della situazione patrimoniale dei soggetti da finanziare superiore a quella comune, laddove essa abbia sentore della situazione di rischio di insolvenza del soggetto che chiede il prestito è costretta a negarlo.

Se, invece, non lo fa, commette un illecito per abusiva concessione del credito, qualora il soggetto finanziato, a causa del suo stato di insolvenza non rilevato dalla banca, venga successivamente dichiarato fallito.

In particolare, tale illecito è potenzialmente idoneo non solo a danneggiare coloro i quali, tratti in errore dall'apparente solvibilità dell'impresa, hanno continuato dare credito all'imprenditore, poi dichiarato fallito, ma anche ad alterare l'equilibrio del sistema.


In sostanza, con tale abusivo finanziamento la banca offre agli operatori di mercato una sensazione distorta, ingannandoli sulle reali situazioni dell'impresa finanziata ed inducendoli a continuare a trattare con essa, come se fosse un'impresa sana, con la conseguenza che il suo fallimento viene artificiosamente ritardato, con grave pregiudizio per la posizione di tutti i creditori.

In effetti, la giurisprudenza ha avuto modo di sancire il seguente principio di diritto: "In materia di concessione abusiva del credito, sussiste la responsabilità della banca, che finanzi un'impresa insolvente e ne ritardi perciò il fallimento, nei confronti dei terzi, che in ragione di ciò abbiano confidato nella sua solvibilità ed abbiano continuato ad intrattenere rapporti contrattuali con essa allorché sia provato che i terzi non fossero a conoscenza dello stato di insolvenza e che tale mancanza di conoscenza non fosse imputabile a colpa ( Cass. Civ. Sez. II, sentenza 14 maggio 2018 n. 11695 che richiama le sentenze della Cassazione a Sezioni Unite n. n. 7029, n. 7030 e n. 7031 del 28 marzo 2006).


Del resto, l'art. 13 del decreto liquidità al comma 2, punto c) si è limitato ad affermare che "i soggetti beneficiari sono ammessi senza la valutazione del merito di credito da parte del Gestore del Fondo" ma non fissa analoga deroga in favore anche delle banche.

In aggiunta, lo stesso decreto liquidità ha escluso la del credito a coloro i quali presentano esposizioni classificate come "sofferenze" ai sensi della disciplina bancaria (comma 1, punto g) ultimo periodo).


Alla luce di tali considerazioni, è del tutto evidente che una banca la quale conceda credito ad un soggetto posto a "sofferenza" iscritta alla Centrale Rischi della Banca D'Italia ovvero a rischio di insolvenza insorto prima del 31 gennaio 2020, può essere chiamata a rispondere civilmente e penalmente della abusiva concessione del credito, avuto riguardo che la diligenza richiesta alla banca non è la diligenza del "bonus pater familias", ma la diligenza del buon banchiere, dotato di specifica competenza tecnica e di specifici mezzi di valutazione delle condizioni patrimoniali del soggetto con cui essa opera.


Le conseguenze di una siffatta condotta omissiva potrebbero essere molto pesanti per la banca. Al di là della responsabilità civile (aquiliana) dell'istituto di credito, i funzionari della banca ritenuti responsabili della concessione abusiva di credito potrebbero essere incriminati in concorso con l'imprenditore fallito del delitto di bancarotta fraudolenta e/o del delitto di ricorso abusivo al credito (rispettivamente artt. 216 e 218 legge fallimentare).


Anche in queste ragioni si rinviene la causa dei ritardi nell'erogazione dei prestiti, di guisa che le banche stanno richiedendo a gran voce al Governo la predisposizione di uno "scudo penale" che li protegga dai rischi testé illustrati.


Con buona pace del Presidente Conte che vantando titoli di avvocato e docente universitario di diritto, improvvisamente si spoglia delle sue qualifiche, come fece San Francesco con i suoi beni terreni, per predicare atti di amore giuridicamente impossibili.


 
 
 

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Avv. Giorgio Marchetti
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