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PERCHE' L'AUTOCERTIFICAZIONE COVID-19 RISCHIA DI CONDURRE A SANZIONI ILLEGITTIME

Aggiornamento: 25 apr 2020



Premetto che utilizzerò, per quanto possibile, un linguaggio non eccessivamente tecnico affinché tutti possano comprendere la lettura del testo e di ciò non me ne vorranno i colleghi.


Come è noto, in conseguenza dell'emergenza sanitaria da coronavirus il Governo ha affrontato la questione della “distanza sociale” con un primo D.L. 23 febbraio 2020, n. 6, a cui hanno fatto seguito i Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM 8 marzo 2020, DPCM 9 marzo 2020, DPCM 11 marzo 2020 e DPCM 22 marzo 2020 ed infine nuovamente con D.L. 25 marzo 2020, n. 19.

In presenza di tale superfetazione normativa è stata compressa la libertà degli individui sull’intero territorio nazionale non senza questioni di criticità in ordine ai diritti delle persone in ragione del metodo utilizzato.


Per gli scopi di contrasto alla diffusione del coronavirus è stato stabilito che "si può uscire di casa solo per esigenze lavorative, motivi di salute e necessità. Ove richiesto, queste esigenze vanno attestate mediante autodichiarazione, che potrà essere resa anche seduta stante attraverso la compilazione di moduli forniti dalle forze di polizia o scaricati da Internet. Una falsa dichiarazione è un reato", poi però per certi versi depenalizzato (tecnicamente si tratta di una abolitio criminis) ad opera del Decreto Legge 25 marzo 2020, n. 19 e, dunque, divenuto un illecito amministrativo.


L’autocertificazione

Il cittadino che si allontana dalla propria abitazione deve possedere un giustificato motivo per farlo e deve autodichiararlo con un apposito modulo scaricabile dal sito del ministero dell’interno.


Esaminiamo tale modulo.


In intestazione appare “AUTODICHIARAZIONE AI SENSI DEGLI ARTT. 46 E 47 D.P.R. N. 445/2000 “ e già qui appare il primo vulnus. il DPR 445/2000 all’art. 46 elenca una serie tassativa di stati, qualità personali e fatti per cui è consentito produrre autocertificazione; tra questi non appare il “giustificato motivo” che si richiede di dichiarare per uscire di casa. Dunque, l’art. 46 nel caso di specie è inconferente.


Secondo il successivo art. 47, rubricato “Dichiarazioni sostitutive dell'atto di notorietà” è consentito autocertificare “stati, qualità personali o fatti che siano a diretta conoscenza dell'interessato”, elenco anche questo tassativo, che non lascia spazio ad autocertificazioni di questione diverse da quelle enumerate.


Orbene, nel modulo predisposto dal Governo si chiede di autocertificare


a) di non essere sottoposto alla misura della quarantena ovvero di non essere risultato positivo al COVID-19(fatti salvi gli spostamenti disposti dalle Autorità sanitarie).

b) che lo spostamento è iniziato da …………………………… (indicare l'indirizzo da cui è iniziato) con destinazione ……………………………

c) di essere a conoscenza delle misure di contenimento del contagio vigenti alla data odierna ed adottate ai sensi degli artt. 1 e 2 del decreto legge 25 marzo 2020, n.19, concernenti le limitazioni alle possibilità di spostamento delle persone fisiche all'interno di tutto il territorio nazionale;

d) di essere a conoscenza delle ulteriori limitazioni disposte con provvedimenti del Presidente delle Regione …………………………… (indicare la Regione di partenza) e del Presidente della Regione …………………………… (indicare la Regione di arrivo) e che lo spostamento rientra in uno dei casi consentiti dai medesimi provvedimenti …………………………… (indicare quale);

e) di essere a conoscenza delle sanzioni previste dall'art. 4 del decreto legge 25 marzo 2020, n. 19;

f) che lo spostamento è determinato da: o - comprovate esigenze lavorative; - assoluta urgenza (“per trasferimenti in comune diverso”, come previsto dall’art. 1, comma 1, lettera b) del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 22 marzo 2020); - situazione di necessità (per spostamenti all’interno dello stesso comune o che rivestono carattere di quotidianità o che, comunque, siano effettuati abitualmente in ragione della brevità delle distanze da percorrere); - motivi di salute. A questo riguardo, dichiara che ……………………….


Ovviamente, restare il può possibile lontani dagli altri in questo periodo di emergenza sanitaria è innanzitutto un dovere civico, ma ciò non può essere imposto con una normazione ai limiti della incostituzionalità.


Come si inserisce il DPCM nell’ambito della gerarchia delle fonti rispetto all’art. 16 della Costituzione

L’art. 16 della Costituzione repubblicana sancisce il diritto di libera circolazione e soggiorno nell’intero territorio nazionale.Tale diritto è coperto dalla cosiddetta riserva di legge rinforzata, vale dire che esso può essere limitato per ragioni di sanità o sicurezza ma solo con legge ordinaria, dunque ad opera del legislatore, cioè il Parlamento.


La costituzione nel nostro ordinamento, posta al vertice gerarchico delle fonti del diritto, è rigida, cioè può essere modificata solo attraverso un procedimento che prevede una maggioranza qualificata per l’approvazione di tali modifiche.

Solo alla legge o agli atti aventi forza di legge (quindi sotto il controllo parlamentare) è consentito derogare una norma di rango superiore, purché quest’ultima lo preveda.

Sicché ad una norma subordinata, per lo più di natura amministrativa quali sono i DPCM ed i DM è precluso derogare ad una norma imposta dalla Costituzione o dalla legge, tantomeno in materia penale.

In particolare, il Decreto Presidente Consiglio dei Ministri è un atto firmato dal solo Presidente del Consiglio, neppure controfirmato dal Capo dello Stato, che non viene sottoposto ad alcuna verifica del legislatore, entrando in tensione con il princìpio di legalità che regola l'equilibrio dei poteri in uno Stato di diritto.

La forzatura palese delle regole democratiche è prevista dalla Costituzione solo in seguito alla dichiarazione dello stato di guerra, che consente previa deliberazione delle Camere di conferire al Governo, su delega del Parlamento, poteri speciali. Lo stato di eccezione, che parimenti consentiva di soprassedere alle regole democratiche da parte del Governo, non è più contemplato dall’ordinamento repubblicano.

Pertanto, solo il Decreto Legge consente al Governo di assumere provvedimenti contingenti ed urgenti ma deve essere portato all’approvazione del Parlamento per la conversione in legge entro sessanta giorni, pena la sua decadenza e la perdita di efficacia sin dall’origine (ex tunc).

Orbene, risulta evidente che l’imposizione dell’obbligo di non uscire di casa assunta con un DPCM è palesemente illegittima perché in contrasto con la riserva di legge imposta dall’art. 16 della Costituzione e, pertanto, è priva di efficacia.


La valenza nel caso di specie dell'art. 650 codice penale (provvedimento "legalmente" dato dall'autorità) – Gli artt. 438 e 452 c.p.

Diretto corollario di quanto detto poc’anzi è che l’incolpazione del cittadino trovato fuori di casa senza valido e comprovato motivo per non aver osservato il provvedimento legalmente dato dall’autorità non può che essere penalmente irrilevante semplicemente poiché quell’ordine dell’autorità non è legalmente dato.

Anche la giurisprudenza si è conformata a tale interpretazione siccome la Suprema Corte di Cassazione ha avuto modo di stabilire che "non integra la fattispecie [di cui all'art. 650 c.p.] la condotta che abbia riguardo ad un provvedimento che difetti di uno dei requisiti di legittimità sotto i tre tradizionali profili della violazione di legge, dell'eccesso di potere e della incompetenza, richiedendo espressamente la norma incriminatrice che esso sia legalmente dato" (ex plurimis Cass. 12-1-2011, n. 555).

A tutto voler concedere, anche nel caso di dichiarazioni mendaci nell’autocertificazione l’articolo 650 c.p. sarebbe di dubbia applicabilità in quanto la norma in esso contenuta ("Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall'Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o d'ordine pubblico o d'igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a duecentosei euro") non contribuisce a configurare gli elementi costitutivi del reato ivi previsto, di guisa che, in giudizio, la condotta di dichiarazioni mendaci in relazione all’imputazione ex art. 650 c.p. potrebbe a ragione essere ritenuta penalmente irrilevante.

D’altro canto, anche l’imputazione ex art. 438 c.p. (“Epidemia”, fattispecie dolosa) o 452 c.p. (“Delitti colposi contro la salute pubblica”, fattispecie colposa) nel caso in cui il soggetto consapevolmente infetto dichiari di non esserlo, avuto riguardo della natura di reati di evento rivestita dalle norme da ultimo menzionate, potrebbe portare all’incriminazione solo nel caso in cui l’infezione sia stata effettivamente trasmessa a taluno.

Ad avviso di chi scrive, residuerebbe soltanto l’ipotesi della tentata epidemia (nella fattispecie dolosa) allorché il soggetto ponga in essere “atti idonei diretti in modo non equivoco” a provocarla, non potendo il delitto colposo prevedere il tentativo.


Il riferimento all’art. 495 c.p. nel modulo di autocertificazione

Anche nella parte in cui il modulo recita “… consapevole delle conseguenze penali previste in caso di dichiarazioni mendaci a pubblico ufficiale (art. 495 c.p.) …” non coglie nel segno.

La norma incriminatrice contenuta nell’art. 495 c.p. (“Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri”) punisce “Chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l’identità, lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona”. Non si parla di “fatti che siano a diretta conoscenza dell'interessato” e pertanto il riferimento a tale norma è totalmente improprio.

Infatti una dichiarazione sui motivi per cui il soggetto interessato è uscito di casa, ancorché mendaci, non rientra tra i casi previsti dall’art. 495 c.p.

Del resto, tale norma penale è posta a tutela della fede pubblica rispetto alla necessità di "identificare" un dato soggetto all'interno della collettività, non a tutela della veracità delle dichiarazioni da esso rese e, dunque, tale reato può senz’altro configurarsi se si dichiarino falsamente le proprie generalità, ma non anche in ordine ai motivi per cui si è usciti di casa.

Tale affermazione appare suffragata da costante giurisprudenza, laddove la Suprema Corte di cassazione ha stabilito che "le altre qualità proprie o dell'altrui persona cui fa riferimento l'art. 495 c.p., sono soltanto quelle che servono a completare lo stato e l'identità della persona ai fini della sua identificazione. Restano perciò, fuori dalla tutela penale le richieste dell'autorità su condizioni personali del soggetto non giustificate da esigenze di identificazione, ma rivolte ad altro fine" (Cass. 16-2-1993, in senso conforme cfr. Cass. 18-12-2012, n. 30190, Cass. 25-5-1984, n. 6751). In effetti sembra non esserci alcuna norma nell’ordinamento vigente che imponga la veridicità di tali dichiarazioni.


L'autocertificazione in relazione al divieto di autoincriminazione

Acclarata, quindi l’inapplicabilità l'art. 495 c.p., neppure l’art. 483 c.p. (Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico) appare applicabile.

Sebbene tale norma sia comunemente utilizzata in merito alle autocertificazioni contenenti dichiarazioni mendaci in riferimento agli artt. 45, 46, 75, 76 ed altri contenuti nel D.P.R. n. 445/2000, ciò non sarebbe possibile perché si incorrerebbe nel divieto di analogia nella legge penale.

Non sarebbe inoltre possibile poiché gli organi di polizia durante i controlli nelle strade non sono assimilabili alla Pubblica Amministrazione intesa nel senso contemplato dal D.P.R. 445/2000.

Peraltro non esiste norma che imponga a taluno "autocertificare" alcunché agli organi di polizia durante i controlli stradali e, se del caso dovrà essere quest’ultima a verbalizzare le eventuali dichiarazioni rese ed a dare impulso alle indagini con la trasmissione della notizia di reato all’autorità giudiziaria.

Dirimente è nella circostanza rappresentata un principio generale del diritto penale in base al quale gli elementi raccolti con siffatta autocertificazione risulterebbero inutilizzabili nel procedimento penale siccome l’imputato (o l’indagato) ha diritto di tacere e persino di mentire, ciò che si traduce nel noto brocardo latino nemo tenetur se detergere.

Di conseguenza, l’acquisizione di tale autocertificazione contenente dichiarazioni di colui il quale sarebbe destinato a diventare un indagato senza la necessaria presenza del difensore comporta l’inutilizzabilità delle dichiarazioni medesime.

Non v’è infatti alcun dubbio che gli agenti nella circostanza dell’acquisizione dell’autocertificazione stanno assumendo dichiarazioni ex art. 350 c.p.p. ovvero ex art. 63 c.p.p. di guisa, che in tali ipotesi la presenza del difensore è necessaria.

In conclusione, l’obbligo di rendere tali dichiarazioni, per di più con un mezzo improprio quale l’autocertificazione è radicalmente illegittimo.


Il revirement del governo con l'art. 4 del D.L. n. 19 del 25 marzo 2020 n.19

In un barlume di lucidità, medio tempore, a qualcuno del governo deve essere venuto in mente che questa idea delle conseguenze penali dell’uscire di casa non doveva essere propriamente in linea con i principi dell’ordinamento e con le norme vigenti, dal che si è provveduto a correggere il tiro, prevedendo con l'art. 4 del D.L. n. 19 del 25 marzo 2020, che "salvo che il fatto costituisca reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento […] è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 400 a euro 3.000 e non si applicano le sanzioni contravvenzionali previste dall'articolo 650 del codice penale o da ogni altra disposizione di legge attributiva di poteri per ragioni di sanità". In caso di utilizzo dei veicoli la sanzione risulta aumentata e, bontà loro, è ammesso, per espresso richiamo al Codice della Strada, il pagamento in misura ridotta anche con lo sconto del 30 % per il pagamento fino al quinto giorno.

Ma anche la soluzione della sanzione amministrativa non convince.

Il corpo normativo del D.L. 19 escludendo l'applicazione dei reati contravvenzionali previsti "da ogni altra disposizione di legge attributiva di poteri per ragioni di sanità" (il riferimento implicito è all'art. 260 T.U. leggi sanitarie - Regio Decreto 27.7.1934, n. 1265) cade in contraddizione laddove, recuperando il dettato del predetto T.U., l’applicazione del quale viene esplicitamente esclusa, triplica la pena dell’arresto ed eleva la pena pecuniaria ivi contenute. Siamo in presenza di una tecnica legislativa da manuale, non c’è che dire!

L'unica applicazione possibile dell'art. 260 T.U. leggi sanitarie, si ravvisa, per richiamo espresso, nel caso di violazione del "divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte alla misura della quarantena purché risultate positive al virus", salvo che il fatto costituisca più grave reato (ad es., tentata epidemia, epidemia dolosa ed l'epidemia colposa, avuto riguardo delle considerazioni più sopra espresse in ordine a tali reati di evento).


La sanzione amministrativa ai sensi della legge 689/1981

In caso di mancato pagamento della sanzione amministrativa (da € 400 a € 3000), la sanzione definitiva verrà irrogata dal Prefetto, in applicazione della L. n. 689/1981 espressamente richiamata dal D.L. del 25 marzo 2020.

Anche in questo caso le criticità appaiono nella massima accezione del termine.

Dalla lettera del testo normativo sembrerebbe che il verbale di accertamento sia opponibile solo al Prefetto e non anche ricorribile dinanzi all’Autorità Giudiziaria e ciò determinerà un inevitabile aggravio di contenzioso per le Prefetture, avuto riguardo delle notizie circa la disinvoltura con cui tali infrazioni vengono accertate.

In ipotesi di opposizione al Prefetto, il sanzionato può presentare scritti difensivi entro 30 gg. dalla contestazione (art. 18 L. n. 689/1981) e chiedere di essere ascoltato. Dopodiché i Prefetti hanno termine di cinque anni per emettere l'ordinanza-ingiunzione di pagamento

Si prevede una cospicua quantità di opposizioni al Prefetto in ragione del fatto che da parte delle forze dell’ordine non è affatto agevole verificare, con ragionevole certezza, i motivi di giustificazione addotti da chi viene trovato a circolare anche in ragione dell’obbligo di contestazione immediata (art. 14, L. 689/1981).

Nella improbabile ipotesi di contestazione differita (che comunque deve essere motivata) i verbalizzati dovrebbero procedere ad accertamenti (art. 14. L. n. 689/1981), con obbligo di rapporto (art. 17 L. n. 689/1981) al Prefetto a seguito di notificazioni entro i 90 gg. dall'accertamento (art. 14. L. n. 689/1981).

Va tenuto in debito conto che la prova della pretesa sanzionatoria è onere dell’amministrazione procedente (ex plurimis Cass. sent. nn. 7296/96, 1122/99, 8515/01, 1912/2019).


La procedura per l'impugnazione delle sanzioni è illustrata in questo stesso blog all'articolo Sanzioni coronavirus: procedimento per l'impugnazione.


Per quanto concerne le circa 80.000 persone denunciate all’autorità giudiziaria nella vigenza del D.L. 19 per la violazione dell’art. 650 c.p., sulla scorta del principio della successione delle leggi penali nel tempo ed in ragione della predetta abolitio criminis da ultimo intervenuta in relazione alla fattispecie di reato, i relativi procedimenti penali finiranno per essere archiviati.

In tale ipotesi, a norma dello stesso D.L. 25 marzo 2020, n. 19, si applicheranno gli articoli 101 e 102 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507, con la trasmissione degli atti alla Autorità amministrativa per l'irrogazione di una sanzione determinata in € 200 dal D.L. 19, minore dei 400 euro ad oggi previsti in ragione del principio della irretroattività della legge (art, 25, comma 2, Costituzione e art. 11 Disposizioni sulla legge in generale, meglio conosciute come Preleggi).

Sorge qualche dubbio in ordine al quantum di tale sanzione, asetticamente determinata in palese violazione dell’art. 3 Cost. (Principio di uguaglianza), ciò che potrebbe condurre all’accoglimento in via giudiziale di numerosi ricorsi.

Anche la Procura di Genova in una nota del 16 marzo scorso ha sollevato tale questione.

In conclusione la pezza apposta dal D.L. 19 appare assai vicina ad essere peggiore del buco causato dalla precedente isteria normativa del Governo.


 
 
 

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Avv. Giorgio Marchetti
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